martedì 9 luglio 2013

Impignorabilità di abitazioni ed aziende: l'impegno dei Comuni italiani per una legge giusta.

Siamo ormai a tre giorni dall'assemblea dei sindaci dell'11 luglio, cui spetterà il compito di esprimersi sullo schema della nostra comune proposta che, rispetto al testo originario, è stata migliorata dai molti suggerimenti pervenuti fin dalla sua prima presentazione. 
In questi ultimi giorni abbiamo lavorato senza risparmiare energie, tanto più alla luce della almeno parziale delusione seguita alla lettura delle norme contenute nell'art. 52 del D.L. cosiddetto "del Fare", dirette a riformare il sistema di riscossione esattoriale e a porre alcune barriere all'espropriazione immobiliare da parte dell'agente di riscossione.
Se infatti è indubbio che alcune delle innovazioni contenute nel D.L. n. 69/2013 concorrano ad un miglioramento del sistema, bisogna prendere atto della presenza di alcune e determinanti lacune, bene evidenziate, dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (21 giugno), dall'opinione pubblica, ed in particolare da rappresentanti delle amministrazioni locali e delle organizzazioni professionali e sindacali. 
Diciamolo chiaramente: siamo delusi del fatto che il Governo si sia limitato ad una riforma, peraltro estremamente parziale, del sistema di riscossione, senza accompagnarla con un intervento normativo capace di incidere, quanto meno in alcune situazioni limite e senza per questo demolire le fondamenta del sistema creditizio, sui meccanismi di espropriazione immobiliare promossi dalle aziende e dagli istituti di credito e dagli intermediari finanziari.  
Siamo ancora delusi del fatto che l'impossibilità per l'agente di riscossione di "dar corso" all'espropriazione dello "unico immobile di proprietà del debitore" (sempre che esso sia adibito ad uso abitativo e il debitore vi risieda anagraficamente) non si sia accompagnata a misure dirette a sancire una barriera analoga per gli immobili strumentali all'esercizio di un mestiere, di un'arte, di una professione, per utilizzare un linguaggio tecnico. 
Ci risulta paradossale che, mentre può essere sottratta, ricorrendo le condizioni descritte, ad una procedura di espropriazione promossa da Equitalia un'abitazione di ingentissimo valore economico (dall'ambito di applicazione della disposizione ora introdotta rimangono fuori soltanto le "abitazioni di lusso" e quelle classificate in categorie catastali equivalenti a "ville" e "castelli"), il Governo non abbia ritenuto di prevedere un analogo sbarramento, anche nei confronti di Equitalia, per gli immobili prima citati, da un laboratorio artigianale ad un locale commerciale a un'azienda agricola, anche quando essi siano gli unici beni funzionali all'esercizio di un'attività pluriennale ed anche quando su essi si fondino le possibilità del debitore e del suo stretto nucleo familiare di sopperire ad un elementare fabbisogno di sussistenza.
Così come mancano, in queste ultime disposizioni legislative, interventi mirati con riferimento ai beni mobili strumentali all'esercizio delle attività economiche, che, allo stato attuale del sistema, possono continuare a formare oggetto di espropriazione, determinando sostanzialmente la paralisi di interi comparti, già posti a durissima prova dall'attuale situazione di crisi. 
Sorprendente è, ancora, che il Governo non abbia ritenuto di riformare il sistema delle espropriazioni immobiliari con riferimento ad un'altra problematica di importanza centrale, quella dei requisiti morali dei soggetti abilitati a partecipare alle aste. Sorprendente, in quanto in questi ultimi anni le inchieste condotte da molte Procure hanno dimostrato come in molte occasioni le aste siano frequentate da soggetti e gruppi legati alla criminalità e alle mafie, mentre è la semplice esperienza a darci atto della contemporanea presenza di soggetti e gruppi che, ancorché non legati alla criminalità, sono dediti a pratiche spregiudicatamente speculative, dirette a lucrare sui drammi umani, familiari e sociali cui quotidianamente assistiamo, in alcuni (molti più di quanto la cronaca faccia emergere) culminati in meccanismi di autodistruzione. 
Ecco, noi non abbiamo atteso il D.L. n. 69/2013 per ritenere di mobilitarci e di intervenire.
Lo abbiamo fatto, all'indomani di una grande tragedia che ha riguardato un cittadino di Vittoria e i suoi familiari, attraverso la predisposizione di una proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo fin dall'inizio considerato aperta al contributo di tutti, ed in particolare dei rappresentanti delle amministrazioni locali, che come altri, più di altri, sono diventati i terminali su cui si scarica il peso di un sistema che merita di essere profondamente riformato. 
Lo abbiamo fatto con una proposta non demagogica ma realistica che non intende sancire un principio astratto, né suscitare facile consenso, ma che intende aggredire i nodi di un sistema iniquo e ingiusto con strumenti equilibrati che offrano soluzioni ragionevoli e giuridicamente praticabili e concorrano a determinare coesione sociale. 
Come in più occasioni abbiamo detto, la ratio che ispira la nostra proposta si fonda sul principio che misure drastiche (come una ipotetica declaratoria di impignorabilità in linea generale tanto dell'abitazione che dell'immobile adibito all'attività di impresa) corrisponderebbe ad una sostanziale immunità per i debiti contratti dai cittadini, i quali potrebbero pertanto rimanere inadempiuti senza alcuna conseguenza a carico del loro patrimonio. Una ipotesi di questo tipo è stata quindi scartata in quanto nell'immediato danneggerebbe i creditori ma soprattutto condurrebbe a distorsioni sul comportamento di molti soggetti, che potrebbero essere indotti ad organizzare il proprio patrimonio su prime case inattaccabili, ma anche sul funzionamento del mercato del credito: l'istituto dell'ipoteca potrebbe addirittura rischiare di scomparire e gli istituti bancari potrebbero porre ostacoli alla concessione di crediti stante l'affievolirsi delle garanzie.
Proprio per questo, lo sbarramento posto alle aziende e agli istituti di credito all'espropriazione sulle abitazioni e sugli immobili adibiti all'esercizio di attività economiche, è innanzitutto limitato ad alcune ipotesi residuali, e si accompagna comunque all'intento di mantenere inalterate le garanzie concesse dai debitori ai predetti istituti. Infatti, in tutti i casi nei quali gli immobili in questione siano stati volontariamente vincolati a garanzia del credito (si pensi a mutui ipotecari),  la nostra proposta stabilisce che le ipoteche siano mantenute e i contratti convertiti in prestiti vitalizi ipotecari (istituto creato dal legislatore nel 2005), rimborsabili in unica soluzione alla scadenza; e che, nel caso in cui il debitore non accetti la conversione o non adempia le proprie obbligazioni a tempo debito, possa ritornare in campo il procedimento di espropriazione.
Si aggiunga in proposito che è nell'interesse del sistema bancario sostenere queste misure. Come sanno, in particolare, gli operatori del diritto, l'incalzare della crisi e la cronica assenza di liquidità, unita a considerazioni di ordine psicologico che hanno rallentato i consumi e indotto decisioni di prudenza, hanno fatto si che i primi incanti siano deserti, che l'aggiudicazione degli immobili posti all'asta sia rinviata e che il risultato delle aste non copra se non una parte ridottissima del credito per cui si procede. Condizioni che rendono evidente come un sostanziale differimento, limitato ad alcune categorie di beni e circoscritto a delimitate categorie di soggetti, possa tornare utile, e comunque non risultare incompatibile, anche con le legittime aspettative dello stesso sistema del credito organizzato.
Nel mentre eravamo pronti a depositare in Cassazione la proposta e ad aprire l'iter della raccolta delle sottoscrizioni, è intervenuto il D.L. n. 69/2013. 
Responsabilmente, ne teniamo conto. Per questo, la proposta che sarà sottoposta ai sindaci il prossimo 11 luglio sarà quella di chiedere un incontro urgente al Governo e ai presidenti delle commissioni competenti per materia della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, per spiegare loro il senso della nostra proposta e la necessità che, in occasione della conversione in legge del D.L. (presumibilmente calendarizzata nella prima decade di agosto) possano trovare un adeguato recepimento le nostre proposte.
Una attenzione ed una sensibilità istituzionale, propria del resto degli amministratori locali, che non equivale a delega o, peggio, a rassegnazione. Ci auguriamo tutti che le risposte siano rapide, serie e adeguate, ma diciamo anche che nel malaugurato caso che risposte non ci fossero, in autunno potremmo decidere di attivare l'iter della proposta legislativa popolare, mettendo insieme su questa proposta i rappresentanti delle istituzioni pubbliche, le formazioni sociali e tutti quanti, nel Paese, ritengono prioritaria ed indifferibile una riforma del sistema secondo i principi cui abbiamo fatto cenno.
Sappiamo che su questi principi esiste ampio consenso: oltre alle numerose proposte depositate alla Camera e al Senato da parlamentari di molte formazioni politiche, proprio il nostro testo, nella sua versione originaria, è stato "assunto" da una decina di senatori, tra cui il sen. Giuseppe Lumia e il sen. Felice Casson, che hanno presentato una propria proposta di iniziativa parlamentare. Riteniamo auspicabile, in proposito, che altri parlamentari possano aggiungersi, tanto più che, nei prossimi giorni, la proposta ora descritta sarà sostituita dal testo risultante dall'ultima formulazione riportato in questo blog. 
Penso che ci sono basi solidissime ed ampiamente condivise per andare avanti e in questi ultimi giorni, discutendo con molti sindaci ed amministratori locali, in particolare della Toscana e dell'Emilia Romagna, me ne sono del tutto persuaso. Mi piace pensare che la nostra proposta, pur nata in Sicilia, non appartiene ai siciliani, ma al Paese. Appartiene a quanti in questi anni, dalla società civile, dal sindacato, dalle associazioni professionali e di categoria, si sono battuti; a quanti sono stati o sono tuttora travolti da una situazione economica difficilissima e a causa di ciò, dopo anni ed anni di comportamenti virtuosi, non riescono più ad onorare un debito nei confronti dello Stato o di un istituto di credito; appartiene anche ai sindaci e agli amministratori delle metropoli come dei comuni medi e periferici, che non possono più sostenere il peso morale dei tanti drammi che accompagnano la vita della propria gente e che non dispongono neppure delle risorse per far fronte alle necessità abitative e all'assistenza economica di centinaia di migliaia di nuclei familiari costretti alla marginalità e all'esclusione sociale.
Ci sono quindi ragioni più che sufficienti per proseguire. Noi intendiamo farlo alla nostra maniera, responsabilmente ma con estrema decisione. Per questo, chiediamo a tutti di darci una mano. 
Piero Gurrieri
Assessore alla Trasparenza della Città di Vittoria

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